Ecco una notizia che sembra uscita da un romanzo cyberpunk degli anni ’80: nel 2018 per la prima volta una cyborg arriva alle finali di Miss Italia, piazzandosi addirittura al terzo posto.
La storia di Chiara Bordi è stata ormai raccontata nei dettagli: a dodici anni perde la gamba sinistra dal ginocchio in giù a causa di un incidente stradale. Grazie anche al (legalmente sudato) risarcimento dell’assicurazione si può permettere una gamba artificiale state of the art. Fa sport, diventa modella e si iscrive all’edizione 2018 del concorso di bellezza Miss Italia.
La cosa ha fatto notizia anche per gli attacchi ricevuti da Bordi sui social media. Premesso che, visti i disgraziati tempi che corrono, se non ti prende di mira almeno una decina di screanzati, di cui almeno uno ministro o quanto meno parlamentare, non fai notizia, gli attacchi si sono ovviamente indirizzati sulla caratteristica biomeccanoide della ragazza. Tra le opinioni espresse sono particolarmente interessanti una presunta impossibilità di rappresentare la “bellezza italiana” con un corpo biologicamente incompleto e l’accusa di ricevere voti perché “storpia” (sic!).
La prima può anche essere (involontariamente) interessante perché cerca di tracciare un confine di cui nessuno si è mai occupato, almeno relativamente a Miss Italia: non conosco i criteri di ammissione al concorso ma non penso sia indicata nel regolamento una percentuale minima di corpo umano. La Bordi è la prima partecipante con un arto palesemente artificiale; magari ce ne sono state altre ma la sostituzione non era evidente (un chiodo in un braccio o un cristallino sintetico). Il confine ignoto è in fondo lo stesso che consideriamo quando vogliamo fissare una soglia all’umanità del cyborg.
La seconda, superficiale “osservazione” introduce il dubbio che una candidata potrebbe racimolare voti per un supposto “pietismo” della giuria, cosa difficilmente verificabile ma comunque poco rilevante; si potrebbe dire lo stesso di una candidata non necessariamente mutilata, ovvero in condizioni economiche precarie, orfana, reduce da una guerra, vittima di stupro, salvata dalle acque e così via.
In un concorso di bellezza il fattore bellezza si suppone essere preponderante. Sicuramente per essere eletta Miss Italia conteranno anche il cervello, l’eloquio, le attitudini personali ma non ho mai visto una vincitrice con queste qualità e al contempo agli antipodi dei canoni estetici del momento, segno che la bellezza interiore conterà anche ma quella esteriore è il vero oggetto della valutazione.
Chiara Bordi gioca intelligentemente con la sua parte artificiale; la protesi presenta una sua ricerca estetica, con un aspetto curato nel dettaglio dai tecnici su precise richieste della ragazza, fino a diventare quasi un accessorio di moda, con motivi decorativi e persino diodi led colorati. La gamba artificiale subisce un make-up come il resto del corpo, anzi, proprio grazie al suo essere artificiale offre più possibilità rispetto alla sua parte organica originale.
Nel post-umano, come afferma il compianto Mario Perniola, la distinzione tra organico e inorganico si sfuma: addirittura il vestito può avere lo stesso valore della pelle. Quindi la componente meccanica partecipa alla costruzione estetica e può accrescere la bellezza del cyborg. Al pari di un personaggio ballardiano, l’aspirante Miss Italia cerca un perfezionamento che non è diretto verso la riproduzione dell’aspetto originale ma diviene un percorso verso qualcosa di nuovo.
Qualche anno fa, l’atleta giapponese Maya Nakanishi, anche lei con una gamba amputata, aveva raccolto i fondi per partecipare ai Giochi paralimpici con un calendario in cui metteva in mostra il suo corpo indossando varie protesi, dalle più comuni a quelle sviluppate per l’atletica: un modo estetico di valorizzare quello che viene comunemente considerato, sempre a livello estetico, un difetto.
Paradossalmente, la Bordi potrebbe aver preso voti proprio perché la sua artificialità è bella, perché contribuisce ad accrescere la bellezza della sua originale componente biologica (non necessariamente solo agli occhi dei futuristi o dei tecnofeticisti), il che farebbe del suo corpo un vero manifesto cyborg al pari di uno scritto di Donna Haraway. Se poi l’intento sia ascrivibile al femminismo oppure assecondi una visione a dominio maschile è tutt’altro paio di maniche.