Città tumorali: i grattacieli e le catacombe di Metropolis

In bilico tra espressionismo e futurismo, la megacittà di Metropolis, film del 1927 di Fritz Lang, è uno degli esempi più imitati e influenti della storia del cinema, da Blade Runner di Ridley Scott al Quinto elemento di Luc Besson.

La città, come il suo simbolo, il grattacielo, è sviluppata in verticale in entrambi i versi e così la società che la abita: più si sale e più l’architettura si fa magnifica, ariosa, riservata a pochi eletti; più si scende, molto sotto la superficie, e più lo scenario, pur mantenendo lo spettacolare gigantismo, si fa povero, ruvido, ostile. Non ci sono vie di mezzo o classi intermedie: in alto risiedono i ricchi industriali, in basso i lavoratori. La soluzione proposta di Lang (il “cuore che deve mediare tra cervello e mani”) non è rivoluzionaria in senso marxista e nemmeno socialista, ma è evidente il conflitto di classe tra ricchezza del capitalismo e povertà al confine con il sottoproletariato.

Metropolis, che in superficie ricorda i progetti futuristi di Antonio Sant’Elia, con grattacieli che diventano le nuove chiese (non a caso il film si chiude sul tetto di una cattedrale), nei sotterranei degenera nel fumo delle periferie della seconda rivoluzione industriale: macchine gigantesche e mostruose, a cui lavorano fino letteralmente allo sfinimento gli abitanti del sottosuolo, ingranaggi, pistoni, valvole, scarichi sembrano alienati dal loro scopo quanto i disgraziati che li fanno funzionare. Le macchine servono a mantenere lo stile di vita di chi vive in superficie, ma dal loro aspetto la funzione è indeducibile: non si colgono differenze tra centrali elettriche, fabbriche, servizi.

I palazzi dei lavoratori sono slum verticali da edilizia popolare, non seguono il razionalismo architettonico ma sono invece costruiti quasi casualmente, ammucchiati. Attraverso le vie che li collegano si giunge a neo-catacombe, caverne/gallerie di miniera dove il massimo dell’artificialità è il puro e semplice scavo nella roccia. Sono cunicoli fuori controllo, edilizio e sociale, che si riempiono di un’umanità distrutta in cerca di una nuova speranza, che giunge attraverso un messaggio quasi profetico.


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