Dopo sedici anni di silenzio discografico, i Cure sono tornati con Songs of a Lost World, un album che segna un punto di svolta nella carriera della band, un lavoro intimo e profondo che affonda le sue radici nella riflessione sul passare del tempo. Ma, come accade spesso con il gruppo di Robert Smith, il ritorno è ben più di una semplice pubblicazione musicale: è un viaggio emotivo, una catarsi, una riflessione sul nostro mondo e sulla sua inevitabile trasformazione.
Songs of a Lost World non è un disco che parla al passato, ma un lavoro che riflette sulla solitudine e sulla perdita. La morte di alcuni familiari di Robert Smith, tra cui suo fratello, ha influenzato pesantemente le tematiche dell’album, che esplora la paura della mortalità, della solitudine e dell’ineluttabilità del tempo.
Il sound di Songs of a Lost World è essenziale e diretto, con brani che spaziano dalla dolcezza malinconica di I Can Never Say Goodbye alla potenza abrasiva di Drone:Nodrone. Nonostante il ritmo spesso glaciale e le tracce lunghe, l’album non soffre del problema della mancanza di coesione che aveva afflitto i suoi predecessori. La magia di Songs of a Lost World sta proprio nella sua capacità di avere una consistenza densa e ponderata.
Il singolo di apertura, Alone, è forse l’esempio più evidente di questa nuova direzione. Con un’introduzione strumentale di oltre tre minuti, quanto di più lontano ci possa essere da questo tempo di singoli da rapido consumo in streaming, il brano trascina l’ascoltatore in un’atmosfera di solitudine e desolazione, risvegliando emozioni profonde. La potenza del grido di Smith (“This is the end of every song that we sing”) è l’inizio di un viaggio che non solo riecheggia il passato della band, ma lo reinventa.
Molti dei brani di Songs of a Lost World sono nati dal vivo dei tour, come Alone, A Fragile Thing e And Nothing Is Forever, il che ha contribuito a dare loro una nuova forma, più matura e consapevole. La canzone I Can Never Say Goodbye, scritta in memoria del fratello di Smith, è una delle più emozionanti del disco. La sua lunga intro strumentale racconta l’ultimo incontro con la persona amata, in un’atmosfera di commozione che traspare anche nelle esibizioni dal vivo di Smith, spesso visibilmente provato.
L’album è un ritorno a sonorità dense e atmosferiche, simili a quelle di Disintegration e Pornography. Brani come Drone:Nodrone e Warsong portano l’ascoltatore in un vortice di feedback e distorsioni, evocando al contempo riflessioni sulla società contemporanea nel suo clima di incertezza e conflitto.
Eppure, la luce non è completamente assente. La copertina dell’album, con il volto di pietra che emerge come un asteroide da un nero spazio, simboleggia proprio quella luce che nonostante tutto riesce a brillare, come una stella distante ma ben visibile; un simbolo del mondo perduto eppure, in qualche modo, ancora presente.
Robert Smith continua a ostentare il suo trucco iconico, che è diventato un marchio di fabbrica del suo personaggio. Il suo eyeliner nero, spesso impreciso e sbavato, richiama immediatamente l’immagine di un sopravvissuto, un individuo che ha attraversato le tempeste della vita e, pur non riuscendo a celare completamente il suo dolore, ne fa una forma di resistenza visibile. Il trucco non è solo un atto estetico, ma una dichiarazione di sopravvivenza emotiva, una testimonianza di chi ha lottato contro l’oscurità e ha scelto di non nascondere le sue cicatrici, anzi, di renderle parte della propria identità.
C’è una certa analogia con il personaggio del Joker interpretato da Heath Ledger: entrambi incarnano la figura del sopravvissuto, colui che è stato segnato dal mondo e dalle proprie esperienze, e che ha scelto di vivere nella loro evidenza, piuttosto che celarle. Il trucco sbavato di Smith non è perfetto e proprio questa imperfezione lo rende ancora più autentico. La sua figura, così tragica e al contempo ironica, diventa un simbolo di resilienza, di qualcuno che ha affrontato le proprie ombre e le ha fatte proprie senza mai scendere a compromessi con l’immagine ideale o la perfezione.
Smith ha saputo trasformare ogni cicatrice in arte, in musica, in una continua esplorazione della sua umanità. Il suo trucco, lontano dall’essere solo un vezzo estetico, diventa una metafora di questa lotta: la sua immagine di “eccentrico” è la sua armatura, ma è anche il suo punto di forza, quello che gli consente di continuare a brillare nel buio e a essere un faro per chi si riconosce nel suo spirito di resistenza. È il simbolo di un uomo che ha deciso di non nascondere le sue vulnerabilità, ma di esibirle, mostrando al mondo che essere “imperfetti” è forse la forma più autentica di bellezza.
Con Songs of a Lost World, i Cure non solo celebrano il loro passato, ma aprono una nuova fase della loro carriera. Non c’è nostalgia fine a se stessa, ma una riflessione sincera su ciò che resta e su come si affrontano le sfide dell’invecchiare.
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