Appunti sparsi sul cinema di James Cameron (5)

Terminator 2

Quasi venti anni prima dei “naturali” Na’vi di Avatar, la presenza del T-1000 in Terminator 2 mostra come un personaggio digitale possa mettere in crisi ogni convinzione, ribaltando qualsiasi aspettativa di stabilità e coerenza; è come se di colpo ci si trovasse di fronte a un folle personaggio fuggito da Cartoonia e rifugiatosi in un film dallo stile iperrealista, calato nel nostro presente e assolutamente verosimile; le sue braccia si trasformano come quelle del giudice di Chi ha incastrato Roger Rabbit? e se non gli fossero imposte delle limitazioni, per esempio l’incapacità di trasformarsi in meccanismi o esplosivi, sarebbe potenzialmente in grado di diventare qualsiasi cosa.

Trovandosi di fronte alla impossibilità di riproporre uno Schwarzenegger malefico (la popolarità dell’attore tra i due Terminator è salita a tal punto che non si può più proporlo come un villain), James Cameron deve inventare un cattivo ancora più terribile, ma tenendo presente che non deve essere più grosso del rivale, la cui stazza lo rende già poco credibile come unità di infiltrazione tra gli umani.

Il T-1000 è figlio della tecnologia dell’effetto speciale usata per rappresentarlo: la sua immagine costituita da pixel sullo schermo del computer che la genera rispecchia la sua essenza nel film, quella di essere forma rappresentante della stessa informazione che la descrive, dove ogni singolo atomo è disposto a seconda dell’identità da replicare. Il T-800 è opera scultorea, assemblato di furiosa arte post-industriale (il cui processo di costruzione viene reso esplicito in Hardware di Richard Stanley, dove un robot militare, ricomposto da una scultrice, si riattiva e tenta di assassinare l’artista); il T-1000 è invece materia prima che dà forma a se stessa al di là del prevedibile. Se del T-800 ci viene mostrata la soggettiva, una realtà aumentata che mostra informazioni sull’ambiente sovrimpresse a un mondo virato in rosso e che nel primo film si contrappone a un’altra soggettiva, quella umana di Kyle Reese, del T-1000 non conosciamo lo sguardo, il modo di vedere; la sua essenza, definitivamente al di là dell’umano, non può essere compresa o condivisa.

Ma, pur nella sua artificialità digitale, il T-1000 ha qualcosa di primitivo, di radicale, di strettamente relativo alla sua natura di elemento; la sua vulnerabilità si dimostra con un cambiamento di stato: lo si può sciogliere o congelare, riducendolo a un liquido che ricorda il mercurio o cristallizzandolo. Come il primo Terminator schiacciato da una entità sua omologa, la pressa industriale, anche il T-1000 viene distrutto da un elemento a lui simile, la vasca di acciaio fuso, punto di nascita e di morte del metallo.


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