Categoria: Cinema

  • Cronache del dopobomba

    Panic in year zero

    La fine della seconda guerra mondiale ha segnato l’ingresso nell’immaginario della catastrofe atomica. Per la prima volta l’uomo si è trovato in possesso dei mezzi per potersi autocostruire una sorta di apocalisse laica, che non ha bisogno di accadimenti naturali o interventi divini.

    Anche il cinema è rimasto ovviamente influenzato dalle conseguenze effettive o possibili dell’era atomica: dalle spaventose esplosioni di Hiroshima e Nagasaki il cinema ha tratto cronaca, denuncia, impegno civile e, come è nella sua natura, drammatizzazione e spettacolo.

    L’incubo atomico compare in innumerevoli pellicole; siano queste ricostruzioni storiche, ipotesi future o divertenti e fracassoni Kaiju eiga, si tratta comunque di documenti che testimoniano come la minaccia atomica in tutte le sue forme abbia fatto parte di una coscienza collettiva ampiamente condivisa nel periodo della Guerra fredda.

    Il filone post apocalittico atomico è dominato dall’illustrazione del dopobomba: le conseguenze del fallout nucleare, la sofferenza e la disperazione dei sopravvissuti, la difficoltà della vita quotidiana nel nuovo medioevo sono tutte caratteristiche della retorica del genere.

    L'ultima spiaggia

    L’ultima spiaggia di Stanley Kramer narra di un sommergibile americano che, qualche tempo dopo la terza guerra mondiale, vaga alla ricerca di luoghi ancora vivibili in un pianeta avvelenato dalle radiazioni. La missione è però destinata al fallimento: non ci sono più posti sicuri e il mondo è ormai un deserto; tutti i protagonisti muoiono uno dopo l’altro, in incidenti o suicidandosi; dettaglio amaro e ironico, quello che sembrava un ultimo segnale di vita si rivela essere una bottiglia di Coca-Cola che sbatte, sospinta dal vento, contro il tasto di un telegrafo.

    Il pianeta delle scimmie

    La saga del Pianeta delle scimmie, iniziata con il film omonimo da Franklin J. Schaffner, ci porta a secoli di distanza nel futuro, dove quello che sembra all’inizio un remoto pianeta, dominato da scimmie evolute, si rivela essere la Terra molto tempo dopo la guerra atomica. L’invettiva finale pronunciata da Charlton Heston di fronte a quello che rimane della Statua della Libertà è uno dei momenti più celebri della storia del cinema.

    The Day After

    Vero caso televisivo, The Day After, da noi proiettato anche al cinema con enorme successo, pur non avendo grandi qualità filmiche ha suscitato un dibattito mondiale sulla corsa agli armamenti e ha probabilmente contribuito a una generale presa di coscienza dei terribili effetti di una ipotetica guerra nucleare. Il film mostra l’impatto della terza guerra mondiale sul microcosmo di Kansas City e dintorni, usando (nel bene e nel male) tutta la retorica del disaster movie. Pur dipingendo la generale sconfitta dell’intera umanità in una guerra che non permette di distinguere tra vincitori e vinti, The Day After è comunque saturo di patriottismo USA e rivela una (minima) dose di fiducia nella sopravvivenza delle istituzioni.

    Threads

    Simile, anche se di altro tenore, è un’altra produzione televisiva, questa volta della britannica BBC: Threads, trasmesso in Italia con il titolo Ipotesi sopravvivenza. Girato come un gelido e spietato docudrama, il film segue le vicende di due famiglie della cittadina inglese di Sheffield prima e dopo l’attacco atomico, fino a qualche anno nel futuro. L’orrore in Threads è reso ancora più terribile dal contrasto tra l’angosciante storia dei personaggi e la fredda, didattica descrizione degli avvenimenti, con dati sugli ipotetici megatoni caduti sulla Gran Bretagna, procedure di emergenza, stime sui numeri delle vittime. Terrificante è la scena dell’uscita dal rifugio della protagonista, che muove i suoi primi passi nel mondo devastato. Lo stile documentaristico è mutuato da un precedente televisivo, sempre della BBC, The War Game, considerato all’epoca troppo perturbante per essere trasmesso in televisione. Colpiscono, qui come in Threads, gli sguardi in macchina dei sopravvissuti, terrorizzati, smarriti, accusatori.

    Quando soffia il vento

    Ancora britannico è il film di animazione Quando soffia il vento, tratto dal fumetto di Raymond Briggs, tenera storia di due vecchietti della campagna inglese colpiti dalle radiazioni del bombardamento, che cercano di affrontare con calma la situazione seguendo i consigli del governo e la loro esperienza della seconda guerra mondiale, non riuscendo a immaginare le incomparabili differenze di quest’ultima con la moderna guerra nucleare. Evocativa colonna sonora di Roger Waters, con interventi di David Bowie, Genesis e altri.

    Hadashi no Gen

    Non vive invece in una immaginaria terza guerra mondiale ma nell’atroce realtà storica del bombardamento di Hiroshima la serie di film tratta dal fumetto Hadashi no Gen, basato sulle personali esperienze dell’autore Keiji Nakazawa. Il più riuscito è il commovente anime del 1983, fedele ricostruzione che mostra con stile espressionista lo scoppio della bomba e la dura vita dei giorni successivi dal punto di vista del piccolo protagonista.

    Con la memoria del bombardamento atomico sul Giappone e la difficoltà del raccontarlo a chi non l’ha vissuto si confrontano anche i due grandi registi Alain Resnais e Akira Kurosawa, rispettivamente con Hiroshima mon amour e Rapsodia in agosto.

    Terminator

    Notti squarciate da lampi laser, robot assassini, tappeti di teschi triturati dai cingoli di gigantesche macchine: è il futuro apocalittico e cupo del ciclo di Terminator, dove gli ultimi residui dell’umanità si nascondono nei sotterranei e combattono contro la loro stessa creazione. Skynet è una versione ipertecnologica dell’”ordigno fine di mondo” del Dottor Stranamore, un network di computer della difesa che diventa autocosciente e inizia una guerra nucleare per sterminare i suoi creatori che vogliono tardivamente spegnerlo.

    Sperimentale e poco conosciuto è La Jetée; girato in Francia da Chris Marker, il film è composto quasi interamente da un montaggio di fotografie che mostrano gli effetti della guerra atomica su Parigi e gli sforzi dei sopravvissuti di cercare una soluzione alla loro condizione con viaggi nel tempo. La pellicola ha ispirato Terry Gilliam per il suo L’esercito delle 12 scimmie.

    In Italia un intero filone, derivato dall’immaginario di 1997: fuga da New York di John Carpenter, utilizza il dopoguerra nucleare come pretesto per un’ambientazione di rovine e senza più controllo, dove gli avanzi della società si trovano a combattere tra loro o contro governi autoritari. Vale la pena di menzionare I nuovi barbari, 1990 I guerrieri del Bronx e 2019 Dopo la caduta di New York.

    Il titolo di questo post è un piccolo furto ai danni di Bonvi e del suo Cronache del dopobomba, a sua volta citazione del titolo italiano di un romanzo di P.K. Dick. Bonvi porta in una terra futura distrutta dalla guerra nucleare lo stile ironico e dissacrante di Sturmtruppen, rendendolo ancor più eccessivo e cinico.

    Cronache del dopobomba

  • Apocalissi d’autore

    Il filone catastrofico è certamente commerciale; eppure i suoi archetipi, specie quelli del genere apocalittico, sono stati presi a prestito da registi più tipicamente ascrivibili alla categoria degli autori, che ne hanno usato l’immaginario per metafore nel contesto di un percorso personale. Si tratta quasi sempre di pellicole dominate dal pessimismo, che lasciano poco spazio alla speranza o alla redenzione e in cui l’uomo viene spesso condannato a scomparire, a volte per sua stessa mano, in un cupio dissolvi autopunitivo, altre volte per elementi esterni superiori all’umana volontà e quasi divini.

    Il Dottor Stranamore

    Stanley Kubrick usa l’incombente minaccia della guerra nucleare per mostrare nuovamente con amara ironia la sua disillusione nei confronti dell’opera umana. Nel Dottor Stranamore passa una sfilata di personaggi caricaturali non all’altezza della situazione o comunque incapaci di controllare un sistema di difesa da loro stessi creato e, in definitiva, di impedire una fine del mondo che proprio quello stesso sistema avrebbe dovuto invece scongiurare.

    Il seme dell'uomo

    Nel divertito nichilismo di Marco Ferreri affonda l’umanità di Il seme dell’uomo: nell’arco di pochi minuti una misteriosa catastrofe, di cui vediamo solo residuali immagini televisive che mostrano intere città in fiamme, stermina l’umanità, lasciando ai pochi sopravvissuti il compito di ripopolare la Terra; ma un insondabile destino si accanirà anche contro gli ultimi superstiti, condannandoli a scomparire.

    Quintet

    Un amaro pessimismo avvolge anche Quintet di Robert Altman: in un mondo simbolicamente e irrimediabilmente avvolto dai ghiacci, dove una civiltà in estinzione ha rinunciato a qualunque progresso, tutto quello che resta è ingannare l’attesa della fine partecipando a un gioco che conferisce al vincitore diritto di vita e di morte sugli altri partecipanti. Come scoprirà il protagonista, l’unico senso finale del gioco è il gioco stesso.

    Sogni

    Anche Akira Kurosawa nel suo Sogni vede un futuro disperato, all’interno di una visione onirica e ammonitrice: in un episodio il vulcano Fujiama, simbolo stesso del Giappone, erutta distruggendo una centrale nucleare costruita alle sue pendici; per sfuggire alla radioattività, il popolo scompare in mare, suicidandosi. Restano un uomo, una donna e un bambino, che cercano invano di allontanare il colorato vento radioattivo sventolando la giacca, in un estremo gesto di disperazione. Ancor più cupo è l’episodio successivo: in un panorama ormai nero e indistinto, costellato di piccoli laghi color sangue e mostruosi fiori, resi giganteschi dalle radiazioni, gli ultimi residui dell’umanità si spengono tra lotte per la sopravvivenza e atroci dolori prococati dalla crescita di demoniache corna sulla testa.

    Fino alla fine del mondo

    Sempre la minaccia nucleare, questa volta a causa del possibile rientro nell’atmosfera di un satellite fuori controllo, domina nella trama di Fino alla fine del mondo di Wim Wenders, (che già era passato per l’apocalittico film nel film di Lo stato delle cose) in un road movie che celebra il disfacimento dell’immagine e la salvifica parola scritta; i protagonisti ripercorrono il cammino dell’umanità, dalla vecchia Europa all’Australia, verso la creazione di una macchina magica che si dimostrerà capace di registrare i sogni.

    Melancholia

    La depressione come risorsa nella fine è invece uno dei temi di Melancholia. Con la consueta crudeltà nei confronti dei suoi personaggi, il regista Lars von Trier ripesca dalla fantascienza classica lo scontro tra corpi celesti per esplorare sentimenti e paure di un piccolo gruppo di fronte alla inevitabile scomparsa della Terra, destinata a entrare in collisione con un gigantesco pianeta.

  • Cabine cinematografiche

    “Il telefono è pubblico!”
    “Oh! Ho capito! Un momento! Se è pubblico, è pubblico pure per me, no?!?”

    (dialogo da Turné, di Gabriele Salvatores)

    Scrive ironicamente (ma nemmeno tanto) il buon Granieri nel commento a un suo post su Facebook che, trovandosi con il telefono cellulare scarico, lui, più che una cabina telefonica, cercherebbe una presa di corrente. Il caro sor Gigin vive da sempre con qualche anno di anticipo: celebrava la morte della carta in favore dell’e-ink quando non esisteva ancora il Kindle.

    Sulla cabina telefonica ha pienamente ragione: questi oggetti (o luoghi?) sono praticamente scomparsi dalle nostre vite nel giro di pochi anni. Di questi tempi se ne trova qualcuna in giro con un cartello attaccato che dice che se la si vuole mantenere bisogna rivolgersi alla Telecom prima della data di disattivazione (e chi l’ha mai fatto?). Nel Regno Unito le telephone box rosse si salvano in parte in quanto sono diventate un tale oggetto di culto da finire persino all’estero come elemento di arredo British style, mentre da noi sono solo pezzi di ferraglia inesorabilmente avviati verso la demolizione.

    Il telefono pubblico ha rappresentato per decenni l’unica possibilità di contatto immediato lontano da casa, tanto da venire rappresentata in moltissimi film, divenendo anche elemento significativo, se non addirittura insostituibile, della trama, a partire (o a concludere?) dall’esercizio di stile di Joel Schumacher In linea con l’assassino, che si svolge quasi interamente all’interno di una cabina. Ecco un breve elenco, sicuramente bucherellato e incompleto, sull’onda dei ricordi.

    Amici miei

    Non si contano i film, soprattutto italiani, con personaggi che, dall’epoca in cui anche il telefono fisso era un lusso, chiamano da una cabina o da un bar. Uno per tutti, in Amici miei il telefono è l’ambito oggetto del conte Mascetti, utilizzato per impagabili supercazzole e laide chiamate a moglie e amanti.

    Terminator

    Da un telefono pubblico parte il lungo inseguimento di Sarah Connor da parte del Terminator di James Cameron: l’unico modo che ha il robot di trovare la sua vittima è cercarla sull’elenco telefonico e uccidere tutte quelle che portano lo stesso nome.

    Matrix

    Diversi attacchi elettronici partono invece dalle cabine di Scanners, Wargames e Brainstorm: il telefono entra nell’immaginario hacker sin dai tempi di Capitan Crunch. Una cabina telefonica è anche la prima uscita dal mondo illusorio di Matrix, in una scena che omaggia Duel di Spielberg,

    Blade Runner

    Curioso è vedere come nell’immaginario del futuro fosse difficile prevedere l’avvento della telefonia cellulare, tanto che troviamo avveniristiche cabine telefoniche, quasi sempre dotate anche di video) in numerosi film. Dal telefono di un bar chiama il protagonista di Blade Runner di Ridley Scott, cercando maldestramente un appuntamento con una replicante.

    2001: odissea nello spazio

    Addirittura su una stazione spaziale si trova invece la cabina da cui il dottor Floyd chiama la figlia in 2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick. Aguzzando la vista, si possono leggere persino le istruzioni per l’uso del telefono, come anche quelle del bagno a gravità zero in una scena successiva.

    Il Dottor Stranamore

    Sembre in Kubrick troviamo, nel Dottor Stranamore, una cabina telefonica da cui parte la chiamata fatta dal colonnello Mandrake al Presidente degli Stati Uniti (personaggi interpretati dal medesimo Peter Sellers), chiamata che serve per comunicare il vitale codice di richiamo dei bombardieri che stanno per annientare la Russia a colpi di atomiche. Situazione drammatica e comica al tempo stesso, in cui il colonnello si trova a fare i conti con la carenza di monetine necessarie per l’importante telefonata. Il tutto in un film celebre anche per l’esilarante conversazione telefonica tra Presidenti USA e URSS.

    L'esercito delle 12 scimmie

    Altra telefonata determinante, nel bene e nel male, è quella fatta da Bruce Willis a una segreteria telefonica che sarà ascoltata dai suoi mandanti del futuro nell’allucinato L’esercito delle 12 scimmie dell’ex-Monty Phyton Terry Gilliam.

    Rosemary's Baby

    Claustrofobica diventa invece la cabina/rifugio in una lunga scena del paranoico Rosemary’s Baby di Roman Polanski. La disgraziata protagonista Mia Farrow, messa incinta niente meno che dal Diavolo in persona e circondata da persone che complottano contro di lei, marito per primo, cerca disperatamente (e invano) aiuto nel suo medico di fiducia, mentre alle sue spalle un misterioso individuo si piazza fuori dalla cabina in attesa.

    Gli uccelli

    Ma il premio “cabina claustrofobica” se lo prende ovviamente Alfred Hitchcock; il maestro del terrore passa dalla cabina della doccia di Psyco a quella telefonica di Gli uccelli: questa volta tocca a Tippi Hedren cercare una temporanea salvezza dalla furia dei simpatici pennuti che sconvolgono la tranquilla cittadina di Bodega Bay e forse il mondo intero con una inaspettata e letale ribellione.

    Duel

    Aiuto telefonico cerca anche il malcapitato automobilista di Duel di Steven Spielberg, perseguitato da un camionista impazzito che tenta di ucciderlo in uno spaventoso road movie ambientato nella provincia americana.

    Fantozzi

    A trovare la salvezza è invece l’eterno perdente ragionier Ugo Fantozzi, che riesce a disfarsi della invadente e invaghita (di lui) madre dell’ennesimo capo dittatore, bloccandola in una cabina telefonica con dei bidoni della spazzatura.

    Superman

    Chi è che ha sempre bisogno della cabina telefonica per entrare in azione? In una breve gag di Superman, il povero Christopher Reeve, in disperata ricerca del suo luogo preferito per cambiarsi dal timido Cark Kent all’impavido supereroe, trova solo un telefono pubblico senza la rassicurante protezione della cabina.

    Doctor Who

    Per concludere, c’è chi ha fatto della cabina telefonica una specie di astronave: nella serie televisiva Doctor Who il protagonista si muove attraverso il tempo e lo spazio con il Tardis, una gigantesca macchina spaziotemporale che vista dall’esterno è piccolissima e identica a una postazione telefonica della polizia inglese.

  • L’onda digitale della catastrofe

    2012

    Dopo una lunga e quasi ininterrotta pausa, è grazie alla computer graphic che i disaster movie tornano nuovamente ai fasti degli anni ’70.

    Il banco di prova tecnologico è Jurassic Park di Steven Spielberg. Partito con l’idea di realizzare i suoi dinosauri con tecniche tradizionali (stop motion e animatroni), il regista si convince a passare a una nuova tecnologia dopo una efficace dimostrazione dei tecnici della ILM, che realizzano creature completamente digitali con livelli di dettagli e realismo mai raggiunti prima.

    Il primo vero film catastrofico dell’era digitale è Twister, che porta sullo schermo, complice ancora la ILM, una serie di convincenti e spettacolari tornado (e purtroppo non molto altro, a causa soprattutto di una sceneggiatura debole e personaggi male abbozzati); le spaventose trombe d’aria che devastano l’Oklahoma intrattengono un pubblico che si scopre di nuovo affamato di disastri da contemplare senza pensieri.

    Il titolo di re della nuova onda digitale della catastrofe spetta però a Roland Emmerich, che dal 1996 in poi porta al cinema rappresentazioni di disastri sempre più devastanti: Independence Day, l’ennesimo Godzilla (remake però del Risveglio del dinosauro), The Day After Tomorrow e 2012 sono solo alcuni dei successi di un regista il cui principale interesse sembra essere quello di stupire e ammaliare il pubblico con uno spettacolo di pura distruzione che si fa via via sempre più planetaria e biblica.

    Rispuntano anche le care vecchie meteore, principalmente con Armageddon di Michael Bay e Deep Impact di Mimi Leder; usciti nella stessa estate del 1998, i due film possono contare rispettivamente sulle spacconate del trivellatore Bruce Willis e sugli accorati appelli del Presidente USA Morgan Freeman, oltre naturalmente a una buona dose di computer graphics.

    Caratteristica che emerge sempre di più in queste pellicole è la voglia di intrattenere senza pensieri il pubblico, limitando al minimo riflessioni sulla trama ed empatia con i personaggi e spostando l’attenzione esclusivamente al livello visuale: il digitale è qui per divertirci, pare essere il messaggio e i trailer di questi film sembrano i demo cinematici dei videogame. Certo emerge una buona dose di apocalittico millenarismo, specie in The Day After Tomorrow e 2012, che fa pensare a una preoccupazione ormai condivisa nell’immaginario collettivo per i disastri naturali e i cambiamenti climatici (e per inesistenti profezie di popoli antichi, astutamente utilizzate come richiamo commerciale); ad attirare gli spettatori contribuisce certamente anche un bisogno catartico; ma ciò che appare più evidente è la volontà voyeuristica di apprezzare la catastrofe fin nei minimi dettagli, ad “alta risoluzione”, di contemplare le meravigliose e apparentemente infinite possibilità del digitale.

  • Come riconoscere un film catastrofico

    L’interminabile attesa

    Titanic

    Scrive Umberto Eco (Come riconoscere un film porno, in Il secondo diario minimo) che per stabilire se un film sia pornografico bisogna misurare i tempi di spostamento dei protagonisti; se eccedono il desiderato, il film è pornografico. Questo perché se per tutto il tempo si mostrasse gente che si accoppia, il film risulterebbe noioso; è invece l’attesa che rende interessante la trasgressione.

    Un criterio simile può essere adottato per i film catastrofici: se si mostrassero catastrofi dall’inizio alla fine della pellicola, il pubblico si annoierebbe presto. Ecco perché prima di poterci godere l’evento disastroso dobbiamo attendere anche un’ora prima che questo si verifichi. Un disaster movie è immancabilmente caratterizzato da una introduzione (lunga e a volte tediosa) dei personaggi e delle loro storie; apprendiamo le possibili cause del disastro, le eventuali colpe, impariamo a empatizzare con buoni e cattivi. Con la promessa della catastrofe siamo disposti a sorbirci melense storie d’amore, noiosi spot di compagnie aeree e persino insopportabili suore canterine.

    Prima e dopo

    The Poseidon Adventure

    I personaggi vanno incontro alla catastrofe a partire da una situazione di quiete, quando non addirittura di divertimento. Può essere l’inaugurazione di un grattacielo, il party di Capodanno a bordo di un transatlantico, una discesa sugli sci o anche la tranquilla monotonia del lavoro di ufficio. Il disastro arriva, il più delle volte improvviso, altre progressivamente, comunque inaspettato a travolgere (e qualche volta letteralmente a capovolgere) lo stato iniziale. Buona parte del film è focalizzata sulla rappresentazione della catastrofe con compiaciuta dovizia di dettagli.

    Eroi senza garanzia

    The Poseidon Adventure

    In genere il film si sofferma sulle peripezie di un piccolo gruppo di persone, che diventa a volte simbolo dell’intera società. Mente anonime comparse muoiono nella divertita indifferenza degli spettatori, il gruppo principale viene guidato verso la salvezza da leader carismatici, spesso persone comuni in situazioni straordinarie. Durante il percorso i personaggi andranno incontro a ostacoli di difficoltà crescente ed eventualmente al martirio. Non c’è alcuna certezza che tutti ce la faranno, anzi di solito solo pochi sopravvivono. Gli stessi eroi possono soccombere prima della fine del film per consentire agli altri di salvarsi. I protagonisti possono essere interpretati da stelle del cinema o da perfetti sconosciuti; nel primo caso fungono da attrazione per il botteghino; nel secondo favoriscono empatia e identificazione.

    Colpevoli gaglioffi

    The Towering Inferno

    Il disastro è quasi sempre colpa dell’uomo; a volte può essere a causa di un dolo (qualcuno che ha risparmiato sulla sicurezza per trarne profitto), altre di una colpevole trascuratezza (per esempio ignorare gli avvertimenti delle Cassandre del caso, scienziati o tecnici che siano). Qualche volta il gaglioffo è parte del piccolo gruppo di personaggi principali; in questo caso, può diventare vittima dello stesso disastro di cui è colpevole a beneficio della morale della storia; se si salva, magari sacrificando gli altri, è con ignominia.

    Disastri mancati

    Deep Impact

    Il disastro non sempre si verifica: a volte gli sforzi dei protagonisti diretti a evitarlo hanno successo; questo comporta una ovvia delusione tra il pubblico, che ha pagato il biglietto e rischia di non vedere soddisfatte le sue giuste aspettative. Si cerca quindi di infilare nel film disastri minori: per esempio si può spezzare una meteora nel tentativo di distruggerla, in modo che almeno una piccola parte possa intrattenere lo spettatore, precipitando sulla Terra e causando danni mondiali ma limitati.

    Born in the U.S.A.

    The Day After Tomorrow

    Quello del disaster movie è un genere tipicamente statunitense; di conseguenza sono statunitensocentrici i disastri. I luoghi colpiti sono spesso simboli degli U.S.A.: non si contano più le Statue della Libertà distrutte a vario titolo e le Californie devastate da terremoti.

    La morale è sempre quella

    The Hurricane

    Che si tratti di un naufragio, di un terremoto, di un vulcano, di un incendio, la lezione che viene trasmessa è immancabilmente la necessità degli umani di rispettare le leggi della natura, di non sfidare il destino o qualche divinità, di aiutarsi gli uni con gli altri, di non fare esplodere bombe sugli aerei e di non prendere l’ascensore durante un incendio. Qualunque tentativo didattico è comunque secondario rispetto alla volontà di mostrare un disastro pienamente godibile senza troppi sensi di colpa da parte del pubblico.

    Bambini

    Airport 79

    I bambini sono necessari per suscitare la tenera simpatia dei nonni e l’odio incondizionato di tutti gli altri spettatori. In genere piangono; nei casi peggiori sono insopportabilmente saccenti. Alla faccia della sicurezza, hanno accesso alla cabina di pilotaggio sui voli di linea. Purtroppo si salvano quasi sempre.

  • Le età della catastrofe (5) L’esaurimento del filone

    L'aereo più pazzo del mondo, di Zucker-Abrahams-Zucker

    Se non sono del tutto scontati i motivi del successo del filone catastrofico negli anni ’70, è decisamente facile spiegare i motivi del suo declino, che farà praticamente scomparire il genere dagli schermi fino al suo prepotente ritorno negli anni ’90.

    L’ipersfruttamento

    Praticamente ogni genere di disastro viene portato sullo schermo, anche più volte: incendi, naufragi, metoriti, valanghe, eruzioni vulcaniche, incidenti aerei, invasioni di insetti. I modelli finiscono, le situazioni si ripetono fin troppe volte e il pubblico si stanca dell’assenza di novità.

    La perdita di qualità

    Bastano alcuni prodotti scadenti per danneggiare l’immagine di tutto il genere. Sceneggiatori a corto di idee ed effetti speciali carenti decretano l’insuccesso commerciale di più di un film. Brutte storie che sfociano nel ridicolo, copioni noiosi o addirittura imbarazzanti, messe in scena a basso costo (in un genere in cui proprio gli effetti speciali fissavano nell’immaginario la situazione) allontanano progressivamente gli spettatori dalle sale.

    Nuovi modelli

    Già durante l’età d’oro del disaster movie compaiono pellicole che fanno invecchiare in poco tempo quello che fino a quel momento era lo stato dell’arte. Soprattutto la coppia George Lucas e Steven Spielberg rinnova il genere avventuroso e sf con nuove tecniche di ripresa, effetti speciali di nuovo tipo e azione serrata. Guerre stellari e Lo squalo si rivolgono a un pubblico più giovane e alla ricerca di eroi di tipo diverso, in grado di interpretare un linguaggio che mette insieme fumetto pop e letteratura “alta”.

    Pernacchie

    I cliché di un genere rischiano di diventare la sua tomba. Più di un film sberleffa l’intero genere catastrofico. L’aereo più pazzo del mondo da solo fa precipitare nel ridicolo tutti gli aerei della serie Airport e con essi anche la rappresentazione stessa del disastro, del panico e della drammaticità della situazione; l’impatto della catastrofe cinematografica sull’immaginario viene compromesso per anni.

  • Le età della catastrofe (4) Pericoli generici

    Locandina di Terremoto

    Il filone catastrofico sfrutta (e ben presto prosciuga) tutte le possibili fonti di disastro naturale: terremoti, eruzioni, incendi, valanghe, uragani. In alcuni momenti degli anni ’70 si poteva persino scegliere quale tipo di catastrofe andare a vedere sul grande schermo, tanta era l’abbondanza di produzione, anche se spesso di scarsa qualità.

    Se gli tsunami e gli alieni colpiscono regolarmente gli edifici e i monumenti simbolo degli Stati Uniti (la sola Statua della Libertà, insieme alla città di New York, viene travolta e distrutta innumerevoli volte), i terremoti si accaniscono prevedibilmente contro la West Coast. San Francisco viene storicamente e cinematograficamente devastata dal terremoto e dal successivo incendio ma spetta a Los Angeles la spettacolarizzazione di un disastro più volte annunciato e fortunatamente fino a oggi mai accaduto: the Big One, un gigantesco terremoto lungo la faglia di Sant’Andrea diviene il protagonista nel 1974 di Terremoto. Pur con grandiosi effetti speciali e sonori (il Sensurround dai potenti bassi che fanno tremare le poltrone dei cinema), il solito cast di stelle, da Charlton Heston ad Ava Gardner, il film non è certo un capolavoro ma ottenne un successo sensazionale, complice anche l’atavica paura su cui fa leva.

    Disastroso per gli incassi fu invece Città in fiamme, da ricordare più per i numerosi cameo di grandi attori (Henry Fonda tra tutti) che per… be’, per qualunque altro aspetto, a partire dal poco convincente incendio che colpisce un’anonima cittadina americana.

    Anche Roger Corman, storico produttore noto soprattutto per horror di serie B, si butta nel filone con il poco riuscito Valanga, che propone un non troppo convinto Rock Hudson ormai a fine carriera. Il film recupera filmati di repertorio di reali valanghe; curiosamente, alcune riprese verranno riciclate per un altro disaster movie, Meteor.

    La ricostruzione della gigantesca eruzione del Krakatoa è del 1969, in anticipo rispetto al boom del filone: Krakatoa, Est di Giava non è la prima e nemmeno l’ultima pellicola tratta dallo storico avvenimento. Ancora un vulcano inquieto compare in uno degli ultimi film prodotti dal master of disaster Irwin Allen, Ormai non c’è più scampo, di cui il protagonista Paul Newman ebbe a dire di avervi recitato solo per soldi.

    Uragano del 1979 è invece un inutile remake del ben più notevole omonimo del grande John Ford del 1937.

  • Le età della catastrofe (3) Inferni di cristallo e Inferni sommersi

    Poseidon Adventure Cast

    E’ soprattutto grazie al produttore e regista Irwin Allen che durante gli anni ’70 si consolida il filone catastrofico. Dopo aver abilmente sguazzato nel non facile mondo della fantascienza televisiva, Allen si guadagna il soprannome di “Master of Disaster” soprattutto con pellicole come L’avventura del PoseidonL’inferno di cristallo. Il pubblico contempla avidamente le sue mise-en-scène, spettacolari fallimenti dell’opera umana che risentono della sconfitta statunitense in Vietnam.

    Nell’Avventura del Poseidon un vecchio transatlantico viene investito e capovolto da una gigantesca onda anomala durante i festeggiamenti della notte di Capodanno. La maggior parte dei passeggeri si trova intrappolata nella sala principale. Alcuni, guidati dal reverendo Frank Scott (Gene Hackman), comprendono che i soccorsi possono venire unicamente dal fondo della nave, che ora è l’unica parte non sommersa. Mentre gli altri rimangono nella sala, andando incontro a un tragico destino, il gruppo affronta tra mille difficoltà e pericoli il percorso verso una salvezza che solo alcuni raggiungeranno, anche grazie al sacrificio dei compagni: secondo il canone del disaster movie persino le star sono a rischio: Shelley Winters defunge dopo aver generosamente aiutato gli altri e lo stesso Scott si sacrifica per il bene del gruppo.

    Per L’avventura del Poseidon Allen inventa set completamente capovolti, dove pavimenti e soffitti sono invertiti. La via di fuga, tra l’acqua che allaga corridoi e scale e il fuoco di tanti piccoli incendi, diventa una salita verso il fondo della nave, un mondo al contrario che condanna la presunzione e l’avventatezza umana nel modello babelico fatto di scontri continui tra i personaggi.

    Sempre il mito di Babele domina l’Inferno di cristallo, altra superproduzione all-star (in prima fila Paul Newman e Steve McQueen, ma anche Richard Chamberlain, Faye Dunaway e due vecchie glorie come William Holden e Fred Astaire) che vede un immaginario grattacielo di più di cento piani trasformarsi in una gigantesca torcia la sera della sua inaugurazione. Con svariate nomination agli Oscar e tre aggiudicati, L’inferno, diretto da John Guillermin con la collaborazione dello stesso Irwin Allen per alcune sequenze, vede il trionfo della spettacolarità sulla trama, invero non priva di buchi e imprecisioni, pur in una sceneggiatura di ottimo impatto; il reale protagonista è il fuoco, che si presenta inaspettato, invade uffici e abitazioni, si arrampica sui soffitti, si infila nelle trombe delle scale e negli ascensori, divampa da dietro una porta che sembra sicura e non arretra di fronte agli sforzi dei pompieri. Sequenze da antologia e dialoghi efficaci contribuiscono a far entrare l’incendio del grattacielo nell’immaginario; chi ha visto questo film non può non ricordarlo guardando la fotografia del Falling Man, una delle vittime dell’attentato al Word Trade Center dell’11 settembre 2001 che si sono lanciate dalle finestre in un estremo tentativo di fuggire alle fiamme.

    Allen torna al Poseidon qualche anno dopo, dirigendone lui stesso il seguito, L’inferno sommerso; ma il genere catastrofico è ormai in declino e il film riceve una pessima accoglienza, come il precedente Swarm e il successivo Ormai non c’è più scampo, pellicole imbarazzanti che segnano la fine della carriera di Allen.

  • Le età della catastrofe (2) Airport e i suoi fratelli

    Manifesto di Airport, di George Seaton

    Gli anni ’70 si aprono con il primo vero disaster movie. Tratto dal bestseller di Arthur Hailey, Airport rispetta in pieno tutti i canoni del genere: un disastro da evitare, eroi pronti a sacrificarsi, un cast di star, un comportamento quanto meno avventato che mette in pericolo una meraviglia della tecnologia.sisater movie

    Mentre un aeroporto negli Stati Uniti si trova ad affrontare l’emergenza di una fitta nevicata, un disperato suicida fa scoppiare una bomba su un Boeing, nella insana speranza di lasciare il denaro dell’assicurazione sulla vita alla moglie. Nonostante lo squarcio dell’esplosione, la conseguente decompressione e le avverse condizioni meteorologiche, il pilota riesce a portare l’aereo a terra salvando la vita dei passeggeri.

    Il film si basa ovviamente sulla diffusa fobia per un mezzo di trasporto che proprio in quegli anni è diventato popolare ma con Dean Martin ai comandi e Burt Lancaster a dirigere l’aeroporto c’è ben poco da temere: il film ci mostra un’America efficiente e pronta a reagire di fronte alle difficoltà. L’eroe, per quanto solitario nella situazione, non è isolato ma punta di un sistema unico e organizzato, prodotto da una società che crede nelle proprie capacità; il pilota può contare sull’aiuto da terra; i dubbi provenienti dall’andamento della guerra in Vietnam non sono ancora emersi, almeno non nel mainstream.

    Per quanto quasi tutti impegnati in qualche love story, i protagonisti sono pronti a interrompere le sottotrame amorose per dedicarsi al dovere. In questo come in altri film del genere il disastro imminente interrompe (per fortuna, si potrebbe dire) una serie di narrazioni introduttive che in generale tendono allo stucchevole: ci vuole una buona mezz’ora di storielle di contorno prima che al pubblico venga mostrata la minaccia principale, l’uomo che prepara la bomba, e bisogna attendere ancora un’ora prima che il disgraziato riesca a mettere in atto il suo proposito.

    Se il crooner Dino non può evitare l’esplosione (ma non per colpa sua: era quasi riuscito a dissuadere il suicida), riporta comunque (quasi) tutti a terra sani e salvi. Un disaster movie vive (anche) di attese di catastrofi mancate.

    Il successo di Aiport genera una serie di sequel, non legati tra loro (eccezion fatta per il personaggio interpretato da George Kennedy); sceneggiature sempre più imbarazzanti espongono progressivamente l’usura del modello e alla fine il pubblico perde interesse; l’ultimo del filone “ufficiale”, Airport ’80 (titolo italiano per The Concorde… Airport ’79) si rivela un flop. L’affossamento definitivo viene dalla parodia L’aereo più pazzo del mondo del fortunato trio Zucker-Abrahams-Zucker: il film riprende uno per uno gli stilemi del genere, dalle situazioni ai personaggi, portandoli all’eccesso della caricatura; a quel punto diventa quasi impossibile guardare la serie originale degli Airport senza lasciarsi sfuggire una risata.

    Con gli Airport non finisce tuttavia il disastro aereo (presente in molti generi, dall’azione alla guerra), che assume via via nuove forme, compresa quella della ricostruzione: gli agghiaccianti Alive, sulla sorte dei passeggeri del volo schiantatosi sulle Ande nel 1972, e United 93, sul quarto aeroplano dirottato l’11 settembre 2001, sono due brillanti esempi di disaster docudrama.

  • Le età della catastrofe (1) Prima degli anni ’70

    San Francisco, di W.S. Van Dyke II

    Percorrere la storia del filone catastrofico (o, più precisamente, del genere disaster movie) significa percorrere l’intera storia del cinema: la catastrofe è un tema costantemente presente fin dai primi anni della cinematografia, vuoi per esigenze documentaristiche, vuoi per la spettacolarità insita nel mezzo.

    Possiamo tuttavia distinguere tre fasi principali:

    • prima degli anni ’70;
    • gli anni ’70/’80: l’era del disastro;
    • dagli anni ’90 a oggi: l’era digitale.

    Ogni fase presenta caratteristiche distinguibili. Nella prima il disastro è in genere un elemento funzionale della trama ma senza necessariamente esserne il principale. Nella seconda il disastro diviene oggetto-ragione della rappresentazione. Nella terza, grazie agli effetti speciali digitali, il disastro diviene sempre più catastrofe di dimensione mondiale, graficamente dettagliatissima e di puro intrattenimento.

    La catastrofe è parte della storia del cinema fin dagli inizi. Fire! è un film muto inglese del 1901 che mostra un incendio e l’intervento dei vigili del fuoco con annesso salvataggio. Del 1913 è invece la prima versione cinematografica (italiana) di Gli ultimi giorni di Pompei, ricostruzione romanzata dell’eruzione del Vesuvio del 79.

    Catastrofiche o quanto meno disastrose sono le conclusioni di svariati film dell’epoca muta, basti pensare alla distruzione della città sotterranea del fantascientifico e visionario Metropolis di Fritz Lang.

    Del 1931 è il primo film sul tema “corpo celeste in catastrofica rotta verso la Terra”: in La fin du monde il regista francese Abel Gance ci mostra come il pianeta si prepari all’imminente impatto con una cometa. All’epoca ovviamente non c’è ancora a disposizione una salva di missili nucleari come in Meteor, Bruce Willis e Robert Duvall non sono disponibili per l’estremo sacrificio come accadrà rispettivamente in Armageddon e in Deep Impact; quindi agli sventurati personaggi di La fin du monde non resta che adoperarsi per la pace, pregare o gozzovigliare; il finale è inevitavilmente moralista: con la catastrofe evitata per un soffio (la cometa si limita a sfiorare il nostro pianeta, causando danni limitati) si realizza l’unione mondiale delle nazioni.

    Il vero e proprio sbarco dell’industria hollywoodiana nel genere si ha nel 1936 con San Francisco, melodramma con cast stellare che culmina con il terremoto e il conseguente incendio che nel 1906 semidistrussero la città californiana: tra l’ira di Dio per la “città della perdizione”, le love story, l’ottimismo della ricostruzione da parte di un’umanità redenta e una morale american way un po’ stucchevole, rimane potente la rappresentazione della catastrofe, con effetti speciali accurati che ben resistono all’età della pellicola.

    Dell’anno successivo è il notevole Uragano di John Ford, da un romanzo di James Norman Hall: condanna del razzismo ai tempi del colonialismo, tra i bravi protagonisti spicca ovviamente il lungo uragano finale del titolo, deus ex machina che risolve la situazione in modo biblico travolgendo i cattivi e liberando i buoni.

    Tra il 1943 e il 1958 vedono la luce ben tre versioni cinematografiche dell’affondamento del Titanic, delle quali vale la pena di ricordare Titanic, latitudine 41 Nord, ottima e fedele ricostruzione al limite del documentaristico dal costo di quasi due milioni di dollari (dell’epoca!).

    Anche la fantascienza si nutre di catastrofismo: il cataclisma cosmico di Quandi i mondi si scontrano e soprattutto l’invasione aliena della Guerra dei mondi (che già aveva terrorizzato gli americani nella versione radiofonica curata da Orson Welles) dominano gli anni ’50, alimentandosi della paura del “pericolo rosso”. Nei primi anni della Guerra fredda nasce anche il filone post apocalittico, che mostra le conseguenze di un ipotetico conflitto nucleare: tra il serio (L’ultima spiaggia di Stanley Kramer) e il simpaticamente fracassone (Il mostro del pianeta perduto di Roger Corman), il post apocalittico arriva presto a costituire un genere a sé.

    La prima èra dei disaster movie si conclude nel 1969, con lo spettacolare Krakatoa, est di Giava, ispirato all’eruzione del vulcano polinesiano del 1883. Il pubblico è ormai pronto per l’intrattenimento commerciale della catastrofe di celluloide che dominerà gli anni ’70.

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