Tag: immaginario

  • L’onda digitale della catastrofe

    2012

    Dopo una lunga e quasi ininterrotta pausa, è grazie alla computer graphic che i disaster movie tornano nuovamente ai fasti degli anni ’70.

    Il banco di prova tecnologico è Jurassic Park di Steven Spielberg. Partito con l’idea di realizzare i suoi dinosauri con tecniche tradizionali (stop motion e animatroni), il regista si convince a passare a una nuova tecnologia dopo una efficace dimostrazione dei tecnici della ILM, che realizzano creature completamente digitali con livelli di dettagli e realismo mai raggiunti prima.

    Il primo vero film catastrofico dell’era digitale è Twister, che porta sullo schermo, complice ancora la ILM, una serie di convincenti e spettacolari tornado (e purtroppo non molto altro, a causa soprattutto di una sceneggiatura debole e personaggi male abbozzati); le spaventose trombe d’aria che devastano l’Oklahoma intrattengono un pubblico che si scopre di nuovo affamato di disastri da contemplare senza pensieri.

    Il titolo di re della nuova onda digitale della catastrofe spetta però a Roland Emmerich, che dal 1996 in poi porta al cinema rappresentazioni di disastri sempre più devastanti: Independence Day, l’ennesimo Godzilla (remake però del Risveglio del dinosauro), The Day After Tomorrow e 2012 sono solo alcuni dei successi di un regista il cui principale interesse sembra essere quello di stupire e ammaliare il pubblico con uno spettacolo di pura distruzione che si fa via via sempre più planetaria e biblica.

    Rispuntano anche le care vecchie meteore, principalmente con Armageddon di Michael Bay e Deep Impact di Mimi Leder; usciti nella stessa estate del 1998, i due film possono contare rispettivamente sulle spacconate del trivellatore Bruce Willis e sugli accorati appelli del Presidente USA Morgan Freeman, oltre naturalmente a una buona dose di computer graphics.

    Caratteristica che emerge sempre di più in queste pellicole è la voglia di intrattenere senza pensieri il pubblico, limitando al minimo riflessioni sulla trama ed empatia con i personaggi e spostando l’attenzione esclusivamente al livello visuale: il digitale è qui per divertirci, pare essere il messaggio e i trailer di questi film sembrano i demo cinematici dei videogame. Certo emerge una buona dose di apocalittico millenarismo, specie in The Day After Tomorrow e 2012, che fa pensare a una preoccupazione ormai condivisa nell’immaginario collettivo per i disastri naturali e i cambiamenti climatici (e per inesistenti profezie di popoli antichi, astutamente utilizzate come richiamo commerciale); ad attirare gli spettatori contribuisce certamente anche un bisogno catartico; ma ciò che appare più evidente è la volontà voyeuristica di apprezzare la catastrofe fin nei minimi dettagli, ad “alta risoluzione”, di contemplare le meravigliose e apparentemente infinite possibilità del digitale.

  • Come riconoscere un film catastrofico

    L’interminabile attesa

    Titanic

    Scrive Umberto Eco (Come riconoscere un film porno, in Il secondo diario minimo) che per stabilire se un film sia pornografico bisogna misurare i tempi di spostamento dei protagonisti; se eccedono il desiderato, il film è pornografico. Questo perché se per tutto il tempo si mostrasse gente che si accoppia, il film risulterebbe noioso; è invece l’attesa che rende interessante la trasgressione.

    Un criterio simile può essere adottato per i film catastrofici: se si mostrassero catastrofi dall’inizio alla fine della pellicola, il pubblico si annoierebbe presto. Ecco perché prima di poterci godere l’evento disastroso dobbiamo attendere anche un’ora prima che questo si verifichi. Un disaster movie è immancabilmente caratterizzato da una introduzione (lunga e a volte tediosa) dei personaggi e delle loro storie; apprendiamo le possibili cause del disastro, le eventuali colpe, impariamo a empatizzare con buoni e cattivi. Con la promessa della catastrofe siamo disposti a sorbirci melense storie d’amore, noiosi spot di compagnie aeree e persino insopportabili suore canterine.

    Prima e dopo

    The Poseidon Adventure

    I personaggi vanno incontro alla catastrofe a partire da una situazione di quiete, quando non addirittura di divertimento. Può essere l’inaugurazione di un grattacielo, il party di Capodanno a bordo di un transatlantico, una discesa sugli sci o anche la tranquilla monotonia del lavoro di ufficio. Il disastro arriva, il più delle volte improvviso, altre progressivamente, comunque inaspettato a travolgere (e qualche volta letteralmente a capovolgere) lo stato iniziale. Buona parte del film è focalizzata sulla rappresentazione della catastrofe con compiaciuta dovizia di dettagli.

    Eroi senza garanzia

    The Poseidon Adventure

    In genere il film si sofferma sulle peripezie di un piccolo gruppo di persone, che diventa a volte simbolo dell’intera società. Mente anonime comparse muoiono nella divertita indifferenza degli spettatori, il gruppo principale viene guidato verso la salvezza da leader carismatici, spesso persone comuni in situazioni straordinarie. Durante il percorso i personaggi andranno incontro a ostacoli di difficoltà crescente ed eventualmente al martirio. Non c’è alcuna certezza che tutti ce la faranno, anzi di solito solo pochi sopravvivono. Gli stessi eroi possono soccombere prima della fine del film per consentire agli altri di salvarsi. I protagonisti possono essere interpretati da stelle del cinema o da perfetti sconosciuti; nel primo caso fungono da attrazione per il botteghino; nel secondo favoriscono empatia e identificazione.

    Colpevoli gaglioffi

    The Towering Inferno

    Il disastro è quasi sempre colpa dell’uomo; a volte può essere a causa di un dolo (qualcuno che ha risparmiato sulla sicurezza per trarne profitto), altre di una colpevole trascuratezza (per esempio ignorare gli avvertimenti delle Cassandre del caso, scienziati o tecnici che siano). Qualche volta il gaglioffo è parte del piccolo gruppo di personaggi principali; in questo caso, può diventare vittima dello stesso disastro di cui è colpevole a beneficio della morale della storia; se si salva, magari sacrificando gli altri, è con ignominia.

    Disastri mancati

    Deep Impact

    Il disastro non sempre si verifica: a volte gli sforzi dei protagonisti diretti a evitarlo hanno successo; questo comporta una ovvia delusione tra il pubblico, che ha pagato il biglietto e rischia di non vedere soddisfatte le sue giuste aspettative. Si cerca quindi di infilare nel film disastri minori: per esempio si può spezzare una meteora nel tentativo di distruggerla, in modo che almeno una piccola parte possa intrattenere lo spettatore, precipitando sulla Terra e causando danni mondiali ma limitati.

    Born in the U.S.A.

    The Day After Tomorrow

    Quello del disaster movie è un genere tipicamente statunitense; di conseguenza sono statunitensocentrici i disastri. I luoghi colpiti sono spesso simboli degli U.S.A.: non si contano più le Statue della Libertà distrutte a vario titolo e le Californie devastate da terremoti.

    La morale è sempre quella

    The Hurricane

    Che si tratti di un naufragio, di un terremoto, di un vulcano, di un incendio, la lezione che viene trasmessa è immancabilmente la necessità degli umani di rispettare le leggi della natura, di non sfidare il destino o qualche divinità, di aiutarsi gli uni con gli altri, di non fare esplodere bombe sugli aerei e di non prendere l’ascensore durante un incendio. Qualunque tentativo didattico è comunque secondario rispetto alla volontà di mostrare un disastro pienamente godibile senza troppi sensi di colpa da parte del pubblico.

    Bambini

    Airport 79

    I bambini sono necessari per suscitare la tenera simpatia dei nonni e l’odio incondizionato di tutti gli altri spettatori. In genere piangono; nei casi peggiori sono insopportabilmente saccenti. Alla faccia della sicurezza, hanno accesso alla cabina di pilotaggio sui voli di linea. Purtroppo si salvano quasi sempre.

  • L’eterno ritorno dei morti viventi

    Alcuni recenti e purtroppo tragici episodi di cronaca riguardanti casi di cannibalismo hanno avuto come curioso effetto collaterale quello di scatenare una curiosa reazione sui social media, in particolare Twitter, portando un fiume di commenti che vanno dal preoccupato all’ilare su una ipotetica “apocalisse degli zombi”.

    Tralasciando il delirio da “fine del mondo” di alcuni e il non proprio raffinato umorismo di altri, è interessante osservare come eventi non nuovi, anche se fortunatamente rari, come gli sporadici casi di “mostri” antropofagi si siano collocati nell’immaginario dei morti viventi. Un ruolo non indifferente ha avuto l’apparente caratteristica “epidemica” di episodi slegati tra loro, tanto che l’agenzia statunitense CDC ha addirittura diramato un comunicato per negare l’effettiva esistenza di un “contagio zombesco” (non siamo all’incursione radiofonica di Orson Welles con la sua versione della Guerra dei mondi, ma quasi); paradossalmente proprio il CDC aveva lanciato una campagna per il pronto soccorso che usava come immagine proprio gli zombi.

    A livello almeno di immaginario cinematografico, i morti viventi sono tra noi da decine di anni (senza considerare gli antenati non-morti a vario titolo come vampiri o mummie), a partire dallo storico La notte dei morti viventi di George A. Romero fino ai più recenti Dead Set (che li cala nella quotidianità del reality televisivo) e The Walking Dead (variazione fumettistica poi tradotta in serie tv di successo); sono insomma elementi popolari ormai stabilizzati e permamenti, dal comportamento noto e ben definito.

    Il fascino dell’apocalisse zombi affonda le radici anche in altri elementi suggestivi: il collasso della civiltà, la perdita o il sovvertimento delle regole, la fine (o l’estremizzazione) di una società costrittiva e punitiva o semplicemente consumistica (vedi Zombi sempre di Romero). Tutto questo incontra poi la passione un po’ paranoide per il cosiddetto survivalism, che di epoca in epoca motiva in maniera diversa la sua esistenza (dalla guerra atomica alle carestie, alla fine delle risorse) ma comunque rimane associato all’esigenza di “essere pronti” a fronteggiare un ipotetico crollo della civiltà umana seguita da una sua quasi totale estinzione; qualcuno ha anche pensato di farsi pubblicità (con cinica ironia) sfruttando il panico da zombi per vendere munizioni (purtroppo vere). A questo si associano anche i flash mob fracassoni e divertenti di cosplayer truccati a tema living dead. Insomma, un immaginario catastrofico che viene vissuto anche socialmente (per gioco o per fobia) nel tentativo forse di preservare la propria umanità, resistere di fronte a una uniformizzazione che intacca il senso di individualità.

    Per gli appassionati, esiste anche un esempio di studio universitario del contagio a tema (serio: serve a illustrare un modello matematico di diffusione delle epidemie).

  • Ponti sugli immaginari: Titanic, la nave dei sogni

    Titanic, di James Cameron

    Se il Titanic è la nave dei sogni, Titanic è il film dei sogni. Titanic è un film “mascherato”; i molteplici livelli di lettura a cui può essere sottoposto sono smaccatamente messi in mostra, ma quello che meno appare evidente è proprio il genere del film: più di ogni altra pellicola di James Cameron, Titanic è un film cross over. I molteplici generi e relativi immaginari a cui si appoggia sono forse la ragione principale del suo successo.

    Titanic è un film in costume, con una ricostruzione dei fatti accurata e tuttavia falsamente storico, non tanto per le inesattezze e le volute forzature, quanto per il comportamento e l’attitudine mentale dei personaggi. I protagonisti che Cameron ci propone sono cittadini del loro tempo solo in apparenza: le loro idee e le loro azioni sono quelle di chi ha già vissuto i mutamenti sociali del secolo scorso.

    Il suo essere esteticamente moderno, nei movimenti di macchina, nella ricostruzione digitale, fa sì che Titanic possa quasi collocarsi all’interno di un immaginario steampunk più che in quello dei film storici; la fascinazione e l’attualizzazione della tecnologia trasportano il transatlantico dal tempo a cui dovrebbe appartenere a un mondo ucronico, un tempo alternativo in cui l’energia del vapore guida il progresso; i protagonisti diventano abitanti del presente/futuro in cui ci si può identificare più facilmente proprio perché svincolati dalla loro epoca.

    Titanic è un film d’azione: gli inseguimenti e le fughe tanto cari a Cameron si susseguono, interrotti solo dall’evento catastrofico, con un andamento a duplice spirale, prima discendente, quando Rose e Jack si avventurano nei meandri della nave per sfuggire a Cal e al suo scagnozzo Lovejoy, poi ascendente, quando i passeggeri tentano disperatamente di salvarsi, di allontanarsi dalla inevitabile “discesa nel Maelstrom”.

    Il contrastato amore tra Rose e Jack, novelli Giulietta e Romeo, rende Titanic collocabile anche nella tradizione del film romantico-sentimentale tout court, dove una relazione impossibile e contro tutte le convenzioni di un mondo “adulto” diventa per milioni di spettatori, soprattutto giovani, il sogno da rincorrere e incarnare.

    Naturalmente (e soprattutto) Titanic è un film catastrofico, alimentato da suggestioni di classici come L’inferno di cristallo, L’avventura del Poseidon o i capitoli della serie Airport. La catastrofe è una costante nel cinema cameroniano, dal cupo mondo postatomico di Terminator alla distruzione della natura in Avatar, ma è Titanic il suo film più aderente agli stilemi del genere. Nella tradizione del catastrofico, il mondo si divide tra chi cerca di mettersi in salvo a scapito degli altri e chi cerca di aiutare i propri compagni di disavventura, magari a rischio della propria vita; i “buoni” possono sopravvivere o morire eroicamente, i “cattivi” vengono puniti per la loro vigliaccheria con la morte o con l’infamia.

Ho aggiornato la mia privacy policy: i vostri dati personali mi fanno schifo. Maggiori informazioni

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close